21 agosto 2016

6 lezioni pop di Robert Mapplethorpe (dal libro di Jack Fritscher)





Ho letto con grande interesse il libro di Jack Fritscher "Robert Mapplethorpe. Fotografia a mano armata", uscito quest'anno in libreria. Anno in cui ricorrono i 70 anni dalla nascita di Mapplethorpe (nato a New York il 4 novembre 1946) e che ha visto una bellissima e importante retrospettiva al Getty Museum e al LACMA di Los Angeles "Robert Mapplethorpe: The perfect medium"
e il documentario senza censure prodotto da HBO (spero di vederlo presto anche in Italia).

Il volume, più di trecento pagine, ben scritto, è un perfetto complemento biografico all'altra lettura per me imprescindibile sul tema dell'affascinante fotografo americano, lettura che mi ha appassionato tantissimo per vari mesi, ovvero il libro di Patti Smith "Just Kids" (ne ho parlato QUI).

Di fatto, si tratta del ritratto di un artista che si esprimeva attraverso la fotografia e che per tutta la vita ha lavorato sul binomio esplosivo di amore e morte. Fritscher stesso scrive:"Non mi interessano gli aspetti cronologici o la tecnica fotografica." Qui si parla infatti di ricordi molto personali di un amico, amante, e compagno di avventure professionali.
Eppure, c'è molto più del pettegolezzo del "chi andava a letto con chi" o del puro memoir. Il libro è un'emozionante cavalcata dentro un'epoca, e illustra una viva panoramica su tre decenni non solo di fotografia ma con lo sguardo che spazia dall'arte sull'intera industria culturale, tra mainstream e sottoculture metropolitane, analizzando l'opera di Mapplethorpe dal punto di vista di amico, amante, scrittore, editore e attivista del movimento gay americano.
C'è il rapporto di Mapplethorpe con la fotografia, con il sesso, la droga, con la cultura gay, con la cultura mainstrem etero, con la scena artistica di New York, la scena di San Francisco, l'abisso che ha diviso lo spirito degli anni Settanta pre-AIDS con quello degli anni Novanta Post-AIDS, passando per il decennio chiave degli anni Ottanta, la censura e tutto quel che ne comporta.
Il tutto attraverso interviste con chi Mapplethorpe l'ha conosciuto (nel bene e nel male), articoli usciti sulla stampa e memorie private, citando una marea di film, dischi e libri d'ispirazione.
Un racconto appassionato e ben documentato dal punto di vista del valore artistico dell'opera che Robert ha lasciato in eredità al mondo, partendo dall'assunto di base di Fritscher che "L'arte deve fare paura. Altrimenti è intrattenimento." 

Poi ci sono anche alcune foto. Le foto che altri fotografi hanno scattato a Mapplethorpe. Curiose, visto che parliamo di un artista che nell'autoritratto ha raccolto la summa dell'evoluzione della sua opera, una splendida parabola dal famoso scatto con frusta del 1978 all'ultimo nel 1988 con il bastone dal manico a forma di teschio.

Tra tutto l'intrigante materiale trattato nel libro (qualcuno forse potrà ancora divertirsi a scandalizzarsi sugli aneddoti di perversioni leather, sesso, droga e rock'n'roll) ho amato molto il racconto Fritscher sul modo in cui l'ambizioso Mapplethorpe ha messo deliziosamente in pratica almeno 6 lezioni della pop-Art, lezioni sempre comode per il giovane artista in cerca di successo:

1. Essere informati.
2. Moltiplicare.
3. Saccheggiare a piacere (la cultura).
4. Lavorare (molto).
5. Trasformarsi in un'azienda. 
6. Fare di se stessi un'opera d'arte. 


Come?



1. Essere informati
Il giovane squattrinato e determinato Mapplethorpe, ventenne nato nel Queens, aveva individuato il suo ideale "giro giusto" ben prima di poter essere ammesso in quella ristrettissima cerchia di ricchi clienti, celebrities, gallerististampa internazionale e critici di primo piano che l'ha portato all'apice del successo. A partire da quando si era messo in testa di frequentare il Chelsea Hotel e gli ambienti di Andy Warhol.
Si informava benissimo sulle persone, prima di ogni incontro "importante".

2. Moltiplicare
Non solo fotografie, era anche un collezionista per passione. E immortalava gli oggetti della sua collezione nelle sue fotografie, aumentandone le quotazioni.
Firmò anche qualche video. Mirava ad ampliare il suo raggio d'azione, insomma.

3. Saccheggiare a piacere (la cultura)
Mapplethorpe assimilava tutto quello che gli piaceva, dalla storia dell'arte come dall'attualità e dall'industria culturale, così dalle opere degli artisti del suo tempo e sapeva riproporlo in una forma originale.

4. Lavorare (molto)
Scattava tanto, era un autore prolifico, sempre all'opera.
Dalle prime personali nel 1977 nella galleria di Holly Solomon alla prestigiosissima retrospettiva al Whitney Museum del 1988, un anno prima della sua morte, poteva vantare più di cento mostre nelle più importanti gallerie, aveva pubblicato una ventina tra libri e cataloghi e la bibliografia sul suo conto vedeva la presenza di tutti i maggiori critici (compresa Susan Sontag).

5. Trasformarsi in un'azienda. 
Questo è quello che Fritscher descrive come "ciò che è considerato la vetta del successo in America": ovvero creò la Robert Mapplethorpe Foundation Inc. un anno circa prima della sua morte, nel 1988, per proteggere la sua arte, e la sua visione artistica, nel momento in cui non ci fosse stato più. La fondazione si occupa anche di azioni benefiche a favore dei malati e della ricerca scientifica sull'HIV/AIDS.  

6. Fare di se stessi un'opera d'arte. 
"The Mapplethorpe": un nome, una definizione. Ovvero una specie di marchio di fabbrica, per uno dei pochi artisti che, incensato dal riconoscimento della critica ancora in vita, ha fatto di se stesso e della sua visione la sua migliore opera d'arte.



Poi ci sarebbe la questione del fare scandalo, essere scioccante.
Ma questo, secondo me, merita un discorso a parte.